Kampala, 21 Maggio 2009
Vi ricordate la triste storia di Atim che abbiamo pubblicato sul sito qualche manciata di mesi fa? Amici, dicono che la guerra è finita… ma secondo me continua nei sopravvissuti.
Oggi suona al mio cancello una signora, si chiama Asero, poco più di uno scheletro ambulante. Sarà alta uno e settanticinque, e se pesa quaranta chili è tanto. Gli occhi ce li ha fuori dalle orbite, tiene un bambino in braccio e nella borsa tiene il biberon. Mi racconta che a 16 anni era mia allieva a Gulu, anche lei nel liceo di Suor Marietta di cui ogni tanto vi ho parlato. Non ho capito quando è riuscita a scappare dai ribelli della Lord’s Resistance Army. L’hanno portata via dal dormitorio della scuola tanti anni fa. Nei primi tre giorni di prigionia l’hanno stuprata in
venti… e così via. Si è ammalata quasi subito di AIDS, i primi due bambini nati dalla violenza erano siero positivi, non ha mai potuto dar loro le cure necessarie, li ha partoriti e dopo li ha allattati, e dopo li ha sepolti…
E’ fuggita dalle mani dei ribelli che era incinta per la terza volta, e prima di portare a termine questa terza gravidanza è stata presa in cura e ha cominciato a ottenere il trattamento antiretrovirale. Mi mostra il tesserino rosso che le dà diritto a ritirare i medicinali una volta al mese gratuitamente. Il bambino avrà otto o nove mesi. Le hanno detto di non allattarlo lei, perché questo figlio è nato sieronegativo, e quindi sopravvive se lei non lo infetta.
Io non lo so se è vero che la profilassi anti Aids necessita di questo grande sacrificio umano, per una donna africana specialmente, di rinunciare a allattare lei questo bambino. Ma quel che conta è che gliel’hanno fatto credere, e lei obbedisce; non so chi le ha comprato un biberon, e lei tutti
i giorni ci compra il latte per farlo vivere. Mi ha commosso quando mi ha mostrato la bottiglietta, un simbolo che racchiude tanti pensieri: e questo figlio ormai unico, in salute, lei sua madre non può nutrirlo del suo seno, purché viva. Il bambino ha due occhi incredibili, ed è bello paffuto, pare un principe. Che ne sarà di lui? Lei mi dice, padre Edo, mio insegnante, ti ho sempre amato (chissà se è vero o l’emozione di vedermi dopo tanti anni) e per mio figlio desidero che cresca e che diventi come te. Insomma questo figlio, sano e allattato dalla bottiglietta, che è già dunque meno suo, che sia prete da grande.
Le ho dato una povera banconota. Un piccol frutto dei vostri sacrifici. Il vostro amore vi aiuterà a sostenere il suo. E in questo passare dalle vostre alle mani di Asero, riconosco il mistero della mia vita missionaria.
P. Edo